Sinclair Lewis, il Nobel che nel 1935 ha profetizzato Donald Trump

Sinclair Lewis è stato il primo statunitense a vincere il premio Nobel, nel 1930.
“Per la sua arte descrittiva vigorosa e grafica e per la sua abilità nel creare, con arguzia e spirito, nuove tipologie di personaggi” recita la motivazione.
Da queste parole s’intuiscono solamente le originali peculiarità della sua opera: lo straordinario genio di Lewis ne risulta addirittura minimizzato.

sinclaireSul palcoscenico letterario statunitense condiviso con gente dai nomi di Hemingway, Faulkner, Steinbeck, Buck, Dos Passos, Fitzgerald, giganti spaventosi, Lewis riuscì in maniera fortemente svincolata dalle loro opere, con una voce propria e innovativa, a ritagliarsi comunque un ruolo di prim’ordine. Non sfigura, Lewis, al cospetto della concorrenza, sebbene ad oggi risulti ingiustamente meno conosciuto.

La sua opera si connota per una critica brillante, sagace, prepotentemente satirica ai costumi, alla borghesia, al provincialismo e, in un’unica parola, alle contraddizioni più latenti e ipocrite degli americani. Era un autore che con la parola distruggeva il suo paese, fino a squarciare la veste di tracotante onnipotenza che avvolgeva gli Stati Uniti d’America e mostrare, attraverso la nudità ottenuta, l’effettiva, inconsistente, vana e becera sua natura.
Lo dimostra l’incredibile discorso tenuto il 12 dicembre 1930, in occasione del conferimento del Nobel.

“È mio destino in questo discorso oscillare costantemente dall’ottimismo al pessimismo e viceversa, ma questo stesso è il destino di chiunque scriva e parli di qualcosa in America – il più contraddittorio, deprimente, entusiasmante tra tutti i paesi in questo mondo oggi.”

“In America molti di noi
– non solo i lettori, ma anche scrittori – sono ancora terrorizzati da una letteratura che non sia una glorificazione di ogni cosa americana. Per essere non solo un best seller, ma per essere davvero amato,in America, uno scrittore  deve dichiarare che tutti gli uomini americani sono alti, di bell’aspetto, ricchi, onesti e potenti a golf.” 

E la critica va anche alle istituzioni politiche e culturali:
“Gli scrittori o poeti o drammaturghi o scultori o pittori americani sono costretti a lavorare soli, in pieno smarrimento, senza assistenza se non quella della propria integrità morale.” 

Eppure risulta, da queste parole, anche una certa sofferenza che accompagna queste denunce. La sofferenza di chi proviene e appartiene a un mondo che detesta e che, deluso, vorrebbe diverso.

Le sue opere, dicevamo, sono fortemente connotate da un attacco satirico all’americano
medio, al suo conformismo e perbenismo, al suo aspetto radicalmente religioso, alla ossessione per la ricerca della felicità che in celebri personaggi di Lewis appare addirittura patetica (Babbit, 1922, uno dei romanzi più noti), ma anche caratterizzate da un ruolo importante concesso alla figura della donna lavoratrice ed emancipata (Anna Vickers 1933, La donna emancipata 1917).
Per la forte critica che esse contenevano all’identità americana, molte opere furono
giudicate scandalose e persino censurate (Main Street, Elmer Gantry, ecc), e qui si comprende l’attacco al lettore americano che abbiamo sopra citato.

Nel 1926 con Il dottor Arrowsmith vince il Premio Pulitzer, ma come nella sua natura, lo rifiuta, sostenendo che tutti i premi sono pericolosi, e tra tutti il Pulitzer era uno dei più pericolosi, in particolare per la libertà dell’autore e dell’opera.

Il criterio con cui si attribuiva il premio era”for the American novel published during the year which shall best present the wholesome atmosphere of American life, and the highest standard of American manners and manhood.”

Questo dichiara Lewis: “Questa frase sembrerebbe significare che la valutazione delle opere non debba essere fatta in accordo al loro effettivo merito letterario, bensì in obbedienza a qualsiasi codice di Buona Forma con i criteri di popolarità del momento”
Forse qualcuno si starà chiedendo: perché allora ha accettato il Nobel? La verità sembra essere che l’Accademia di Svezia avesse ammirazione nei suoi confronti esattamente per la sua critica al modello americano. Insomma, erano due situazioni completamente diverse: l’una a lui invisa, l’altra che gli strizzava l’occhio.

Ma di una cosa volevamo parlare, e il lettore esigente ce l’avrà già rimproverato: la sua profezia. Lungi da noi ogni tentativo di far della politica, assicuriamo di continuare a parlare di letteratura.
Dunque ci si chiede: Cosa c’entra Trump e le elezioni americane del 2016 con il buon vecchio Lewis, deceduto a Roma nel 1951?

800px-Sinclair_Lewis_It_Can't_Happen_Here_1936_theater_posterUna delle ultime sue opere è Qui non è possibile del 1935. Riprendendo il tema della fantapolitica e applicandolo tra i primi all’innovativo genere della distopia, (anticipando di almeno un decennio i celebri maestri del genere quali Orwell, Asimov, Vonnegut, Bradbury o Golding), Lewis racconta di un senatore dalle evidenti idee estremamente conservatrici, finanche a confluire nel paragone fascista (e qui il riferimento è palese). Berzelius Windrip detto Buzz stravince le elezioni, grazie alla facilità con cui le sue assurde promesse e la sua squallida quanto pericolosa demagogia riescono a far breccia nei petti patriottici degli americani (seconda analogia, ma ricordiamo la data: 1935).
Giunto al potere, instaura una feroce dittatura: proibito il dissenso, ristretti notevolmente i diritti con particolarità quelli delle donne.
La struttura del romanzo, che vede il protagonista opporsi al sistema politico autoritario, non potrà che far da lezione agli epigoni del genere (e si pensi a 1984).
Ma il merito di Lewis, oltre che letterario, è anche di forma sociologica e politologia, là dove intuisce sagacemente i meccanismi che conducono all’avvento di una dittatura in un paese democratico, oltre che le componenti imprescindibili che costituiscono un regime totalitario, in piena oscillazione tra il Tocqueville della Democrazia in America  e la Arendt de Le origini del totalitarismo,

In pieno avvento del nazismo in Germania e del generale dominio dittatoriale in Europa, da attento osservatore della realtà storica, politica e sociale della sua epoca, Lewis crea un romanzo stupefacente, geniale, potente e incredibile.
L’ironico “qui non è possibile”, mai contraddetto in oltre ottant’anni in una America che ha conosciuto solamente democrazia, rischia di essere confutato proprio oggi. E qui si potrebbe far leva, osservando quel che accade oltreoceano, all’importanza che la memoria, di cui la letteratura si fa portatrice, riveste, e  che le arti hanno di continuare senza fine a dare insegnamento. Quel di cui la letteratura ha però bisogno, è di attenti osservatori. Forse che gli americani di oggi farebbero meglio a leggere meno Roth o De Lillo o Auster per riscoprire Sinclair Lewis.

Il solo problema di questo romanzo è che l’unica edizione italiana risale al 1944. Ormai fuori commercio e rara da trovare, se non in qualche egregia biblioteca, a chi fosse interessato segnaliamo l’ebook gratuito, ma in lingua inglese, che Gutenberg Project mette legalmente a disposizione qui:  IT CAN’T HAPPEN HERE

– Giuseppe Rizzi –

d1457eb51f99a52ef6202744645266be
Alcuni riferimenti a Lewis e Trump apparsi sui media Americani. In alto una citazione del romanzo. In basso: immagine che accompagna un articolo di Salon dal titolo “It really can happen here”

trump_it_cant_happen_here-620x412