Zia Favola: una storia siculish e un romanzo sorprendente

Zia Favola, una storia siculish, Cono Cinquemani
(Aut Aut edizioni)

Quando ho avuto per la prima volta questo libro tra le mani, Zia Favola, una storia siculish di Cono Cinquemani, primo romanzo edito da Aut Aut Edizioni nel 2017, onestamente non sapevo cosa aspettarmi. Quindi meglio andare con ordine.

La storia parla di Favola Cinquemani, ragazzina siciliana che viene mandata dai genitori a New York, dove le era stato concordato il fidanzamento con un ragazzo mai visto prima: un nuovo boifrendo, come dice lei durante il suo racconto in prima persona. Favola ci racconta del viaggio lunghissimo, di come i passeggeri di terza classe fossero ammassati in spazi strettissimi, del pericolo di essere rispediti indietro in qualsiasi momento una volta sbarcati, dei serrati controlli medici e della paura di non riuscire a superarli. Ma più di tutto, Favola ci parla della vita a New York, delle sue speranze e dei suoi sogni, della sua intraprendenza e della sua intelligenza innata, scevra da ogni struttura culturale, grazie alla quale riuscirà ad aprire un suo negozietto e addirittura fondare una società mutuale di donne siciliane.

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Si potrebbe credere che questo romanzo parli della realizzazione del sogno americano, di una ragazzina che parte da zero e in America riesce ad ottenere una vita dignitosa, la sua casa con giardino e il barbecue; io invece penso che questo romanzo parli del sogno italiano, del Sud Italia nello specifico (il novanta percento degli italiani che emigravano in America venivano dal Sud dell’Italia). Un sogno che parla di stabilità, di tranquillità e futuro, in un periodo storico in cui il Sud versava in condizioni pietose, alla vigilia di una guerra devastante.

Favola è un personaggio povero, forse ingenuo, ma che evolve molto nel corso del romanzo; ci accorgiamo che la sua intelligenza è viva, ha un’intraprendenza unica e un coraggio formidabile. In fondo, imbarcarsi appena adolescente per andare a conoscere dall’altro lato del mondo il suo futuro marito, ma incontrato prima, è un atto di coraggio.

Ma adesso c’è da chiarire cosa sia il siculish: è un linguaggio nato tra le persone della prima generazione di italiani, siciliani nello specifico, sbarcati a New York agli inizi del ‘900: una lingua mista tra italiano e americano, una specie di “storpiatura”, passatemi il termine. In realtà, attraverso la lettura del romanzo, mi sono sorpresa a pensare che questa lingua fosse estremamente poetica. Non tanto per il vocabolario che offre, quanto piuttosto per la storia che porta con sé: un intero popolo che arriva in un mondo nuovo, ne assume la cultura e la lingua, ma non riesce a dimenticare del tutto le sue origini. Mi ha commossa leggere tutte quelle parole inglesi riadattate in italiano: girl diventava ghelle, New York era Novaiorca e così via. Non c’è forse niente di eccezionale, ma a me è suonata come una metafora dello sforzo disumano che queste persone hanno fatto per arrivare sino in America; i sacrifici e il lavoro per entrare in un mondo che non li voleva, che li trattava come feccia, ma che comunque per queste persone rappresentava l’unica speranza di rivalsa. A me ricorda qualcosa, a voi no?

Mi sento di consigliare il romanzo a tutti; la struttura è semplice, i registri narrativi sono usati benissimo e il personaggio di Favola riesce a mantenere tutta l’attenzione quasi senza sforzo. La lingua, seppur a volte ostica per chi non parla né siciliano né inglese, è scorrevole e piacevole, resa agevole anche dal piccolo “vocabolario siculish” stilato alla fine del romanzo. In più, per scrivere un romanzo simile c’è bisogno di tanto studio, sia linguistico che storico, e questo va premiato.

Prima di concludere, un’ultima cosa credo vada detta: questo libro non è solo una storia da leggere, riporre in libreria e lasciare lì; è una storia che dovrebbe ricordarci della sofferenza, delle speranze e delle gioie che molti nostri antenati hanno provato. Non dimentichiamocelo proprio adesso, in un periodo storico che ci ricorda tristemente l’attualità di questo romanzo. Forse questa lettura potrebbe aprire gli occhi a chi ancora si ostina a chiudere le porte agli altri, allo straniero: potevamo essere noi non più di cento anni fa.

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