Guida dell’aspirante scrittore: tutti i segreti e retroscena dell’editoria per l’esordio

Tutto quello che c’è da sapere se volete esordire nel panorama letterario.
Intervista a Vanni Santoni, scrittore, editor di Tunué ed esperto di
esordi.

Poniamo il caso che siate degli aspiranti scrittori. Magari avete già scritto il vostro primo romanzo o lo state attualmente scrivendo. Innanzitutto sappiate che il sottoscritto è nella vostra stessa situazione e può ben capirvi: ambite a una pubblicazione con una casa editrice seria e possibilmente affermata; sognate di far parte del mondo della letteratura, di essere letti e apprezzati. Probabilmente avrete già fatto qualche tentativo, contattando alcune case editrici, ma non siete stati fortunati.
Bene, l’obiettivo di questo articolo è proprio quello di svelare tutto ciò che c’è da sapere sulla situazione dell’editoria in riferimento agli esordi, così che possiate avere tutti gli strumenti utili per poter perseguire consapevolmente la vostra ambizione: dall’invio di manoscritti alle scuole di scrittura, dai concorsi alle agenzie letterarie, fino al ruolo delle riviste culturali e dei blog.

Per farlo ci siamo rivolti a un grande esperto: Vanni Santoni, scrittore (Mondadori, Laterza, Feltrinelli, Voland, nonché tra i 12 finalisti al Premio Strega nel 2017), dal 2014 dirige la collana di narrativa di Tunué, che si è rivelata, nel plauso generale, una fucina di talenti. Sono stati pubblicati esordi di autori molto giovani che hanno suscitato l’attenzione e gli elogi della critica e hanno ottenuto successi come candidature a prestigiosi premi, vendita dei diritti di adattamento cinematografico e vendita diritti all’estero. Nel 2015 si è parlato tantissimo di Barison (1988), candidato al Premio Strega; il 2016 è stato l’anno di Funetta (1986), anche lui allo Strega, arrivando persino nella Dozzina; nell’ultimo periodo invece ha colpito l’esordio di Bernardi (1991).
Proprio a Santoni abbiamo fatto alcune domande sul suo lavoro di editor e scopritore di talenti presso Tunué, e sulla situazione attuale dell’editoria e del panorama letterario italiani a 360 gradi.

A PROPOSITO DI TUNUÉ

Nella linea editoriale di Tunué si legge che il vostro interesse “è focalizzato esclusivamente su romanzi che abbiano nello ‘sconfinamento’ – che può essere di genere ma anche di taglio, tono o lingua – la caratteristica principale”. Cosa si intende esattamente per sconfinamento?

Lo spiego nel dettaglio, assieme alle altre caratteristiche della collana (per le quali rimando anche a queste tre interviste), in questo articolo.

Quali sono le caratteristiche che un autore e la sua prosa solitamente possiedono per ottenere il tuo apprezzamento? E, in tutta franchezza, ci sono generi e tematiche che hanno più possibilità di essere scelti per il vostro catalogo e altri che invece ne hanno meno?

A me interessa esclusivamente la qualità della scrittura, per quanto riguarda la selezione di un testo non guardo ai temi – al di là del fatto autoevidente che facciamo “literary fiction” – né alle caratteristiche dell’autore. Non mi interessa neanche che il romanzo sia compiuto, ma devo vedere buona prosa. Oggi siamo nell’era della post-letteratura – mutuo la definizione da Millet – in cui la trama forte unita a una lingua al grado zero è la chiave del romanzo commerciale, e quindi è inevitabile rispondere con la lingua.
Il primo libro che ho pubblicato con Tunué, Dettato di Sergio Peter ha avuto anche la funzione di essere una sorta di manifesto, proprio per il suo essere un romanzo che qualunque altra casa editrice avrebbe ritenuto non vendibile: niente trama, solo una ottima lingua, un’ottima atmosfera e una struttura potente. L’effetto era anche più efficace avendo avuto l’opportunità di affiancarlo a un libro come Stalin + Bianca di Iacopo Barison, che oltre a essere scritto bene era anche molto vendibile, e quindi potevamo giocare con questo contrasto.

 Come avviene lo scouting? Gli autori pubblicati da voi hanno tutti inviato un manoscritto all’indirizzo indicato o sono stati scoperti attraverso altre modalità?

Ti rispondo riprendendo quanto ho scritto in una recente intervista legata al concorso “8×8” dell’agenzia Oblique, che peraltro consiglio vivamente a qualunque aspirante autore dato che permette di confrontarsi, gareggiando, con editor professionisti e altri aspiranti. La domanda era pressapoco la stessa e avevo dato una risposta molto dettagliata, che riporto qui:
“…Facendo un riepilogo degli arrivi in casa editrice, solo Dettato di Sergio Peter è arrivato in casa editrice come invio spontaneo – l’unico trovato così nonostante le migliaia di manoscritti vagliati – e giù compiuto abbastanza da richiedere sì un lavoro di editing con l’autore ma molto leggero. Era un caso particolare perché Sergio Peter aveva lavorato anni come lettore a una certa idea di letteratura, poi espressa con efficacia nel suo romanzo.
Iacopo Barison l’ho conosciuto tramite MySpace – pensa un po’, esisteva ancora –, dove teneva un blog: scriveva bene e lo invitai a comporre i testi che già scriveva in modo più strutturato; lo fece e pubblicò un pamphlet con un piccolissimo editore romagnolo. Da lì lo incoraggiai a scrivere un romanzo. Mi parlò di quest’idea che aveva: vedeva questi due personaggi, un ragazzo con i baffi e una ragazza cieca. Io gli dissi solo Vai avanti, mi interessa, e così nacque Stalin + Bianca.
Lo Scuru di Orazio Labbate mi arrivò da un’agenzia, anzi da due: giunse da un primo agente e lo scartai, poi mi tornò migliorato tramite un secondo agente. Ci abbiamo lavorato molto, vedevo un potenziale enorme in quel ragazzo, aveva una capacità di prosa a tratti incredibile, che però non controllava ancora appieno; c’erano ogni tanto pagine sublimi che ricordavano addirittura García Lorca, e ogni tanto, invece, delle cose più buttate là. Ho deciso di prenderlo, abbiamo osato (mischiando italiano e dialetto poteva sembrare esso pure un libro rischioso), abbiamo lavorato molto sul testo e così è nato Lo Scuru, che è stato un altro nostro notevole successo.
Francesca Matteoni, autrice di Tutti gli altri, aveva scritto delle prose che erano uscite su «Nazione Indiana», erano molto convincenti però erano prose spurie, erano momenti, piccole descrizioni, sebbene unite da una certa lingua e da un certo punto di vista, così le ho proprio chiesto di capire se poteva metterle insieme e trasformarle in un romanzo.
Mario Capello, L’appartamento, è invece una questione diversa, era un libro che doveva uscire per un’altra casa editrice che aveva licenziato alcuni collaboratori e alcuni libri legati a loro erano rimasti appesi. L’ho quindi recuperato facendo poi un ulteriore lavoro di editing con l’autore.
Dalle rovine di Luciano Funetta mi venne suggerito da due colleghi: prima Gianluca Liguori di Scrittori precari – un blog, che oggi non esiste più, che lavorava molto sullo scouting – mi segnalò l’autore, e poco dopo mi contattò il collega Alcide Pierantozzi per dirmi che Funetta aveva scritto un libro notevole. Contattai allora Luciano Funetta e alla fine lo convinsi a non andare con altri editori. Quello è stato un nostro grande successo, e sicuramente il fatto che lui avesse scritto su TerraNullius, che è un blog che io già monitoravo, ha significato molto perché era già entrato nel mio radar anche se non in modo ancora specifico.

vanni santoni tunue
Vanni Santoni con alcuni libri di Tunué

Mauro Tetti, invece, vinse il premio Gramsci con una raccolta di racconti in cui emergeva una notevolissima capacità di scrittura, ma anche un potenziale romanzesco perché erano tutti ambientati nello stesso luogo: una Sardegna fantastica e sorprendente perché non era la solita, molto vista, mitologizzazione di una Sardegna ancestrale: c’erano degli elementi di contemporaneità degradata molto interessanti. Quindi ho chiesto all’autore di provare a lavorare su quei testi per creare un vero e proprio romanzo, e così è nato A pietre rovesciate.
Mescolo tutto di Yasmin Incretolli era già un romanzo, aveva preso una menzione speciale al premio Calvino, e da lì abbiamo lavorato, soprattutto sulla struttura e sull’ampliamento della seconda parte.
Per Medusa di Luca Bernardi, pure, lo scouting è passato dalle riviste: Bernardi, sebbene bolzanino, aveva pubblicato alcune poesie su una rivista autoprodotta della scena fiorentina che conoscevo molto bene, «Collettivomensa». Si trattava di poesie non solo molto convincenti ma anche molto narrative, le avevo notate proprio per il potenziale prosastico. Da lì l’ho invitato a provare fare un romanzo. Dopo il primo tentativo che non era molto riuscito, tant’è che glielo scartai, lui fece un gesto abbastanza unico: invece di odiarmi per tutta la vita, come fa di solito il rifiutato, dopo cinque mesi si presentò non con quel romanzo rivisto ma con un altro romanzo, completamente nuovo, che era poi Medusa. In quel momento ho capito di avere a che fare con uno scrittore, cioè uno che non guarda in faccia nessuno, non si fa influenzare da vanità o sentimenti da presunto genio incompreso, e se una cosa non funziona ha l’intelligenza per capirlo e la determinazione per farne un’altra.
“Da qui si arriva a Francesco D’Isa, La stanza di Therese, che di nuovo aderisce completamente al “caso rivista”, non se ne esce. Francesco D’Isa è mio amico, lo conosco da sempre, ha fondato la rivista autoprodotta in cui ho esordito io stesso, «Mostro». D’Isa scriveva quindi da molto tempo, aveva già esperienze di scrittura e pubblicazione – anni prima aveva pubblicato un libro illustrato, I. per nottetempo, e successivamente altri due romanzi, Anna. Storia di un palindromo e Ultimo piano (o porno totale), e poi ha cominciato a pubblicare su una rivista che lui stesso cura, «L’Indiscreto», alcuni testi incentrati su questa figura di Therese, una ragazza che specula su questioni metafisiche, sull’esistenza di Dio e sull’infinito. A un certo punto, siccome mi trovavo senza un’uscita forte per la primavera, che è un momento chiave per l’editoria – quest’anno c’erano addirittura due Saloni del libro – ho chiamato Francesco per chiedergli se esistesse davvero un «libro di Therese» strutturato, al di là dei testi che erano usciti sull’Indiscreto – c’era, e così è nato La stanza di Therese.
IMG_20170518_152523_615“Per ultimo c’è Tabù di Giordano Tedoldi, che per noi è già di per sé un’avventura: per la prima volta pubblichiamo un romanzo lungo, di un autore già molto affermato. All’inizio il libro era in lettura da altri editori che però tergiversavano; quando ho letto il libro ho forse capito perché: è un libro che parte lento, con un innesco davvero a lunghissimo termine, che inizia a ingranare sui suoi veri obiettivi a pagina cento o duecento, ma lo fa in modo così ponderato da non poter essere tagliato. Allora ho detto a Tedoldi di venire con noi in Tunué: avremmo pubblicato il libro subito. Così è andata, e ne sono molto contento.
“Facendo quindi un bilancio, quasi la metà dei nostri libri vengono dall’aver scovato gli autori su riviste o blog, attraverso testi più brevi e non necessariamente compiuti, a partire dai quali ho chiesto agli scrittori di lavorare. Sebbene io apra tutti i manoscritti per principio, essendo stato a mia volta un manoscrittaro senza agganci o santi in paradiso, per ora sulle migliaia vagliate ne ho pubblicato solo uno, Dettato appunto. Difficilmente lo scouting avviene lì, per la semplice ragione che chi scrive seriamente in genere riesce a farsi conoscere attraverso le riviste prima ancora di mandare un testo. Sulla scarsa utilità dell’inviare manoscritti, ha detto tutto Umberto Eco una ventina di anni fa, in una “lettera a un aspirante scrittore” rielaborata da una sua  prefazione a un pamphlet di Alberto Mauri, che riporto in fondo*.

Nella scelta di un autore da pubblicare, quanto influisce che questi sia già nell’ambiente o, di contro, che non abbia esperienze di vario tipo pregresse?

In nessun modo. Come detto mi interessa solo il testo. In genere, poi, chi è in grado di produrre testi buoni si è già formato su riviste e confrontato con i pari. Il discorso è quindi, piuttosto, inverso: capita più spesso di ricevere manoscritti decorosi da parte di gente che ha preso le misure del campo editoriale e ha tentato con esso un primo confronto, come è del resto ovvio.

Parliamo ora del panorama editoriale in generale…

L’INVIO DI MANOSCRITTI

Quasi tutte le case editrici, anche le major più prestigiose, inseriscono un indirizzo a cui mandare i manoscritti. Ma c’è effettivamente la possibilità che un romanzo anche ottimo non sia preso in considerazione con questa modalità?

Io sono arrivato a Feltrinelli mandando un normalissimo plico. Qualche mese dopo minuovo pp contattarono attraverso il mio blog dicendo che volevano pubblicare il mio libro. Fu un bel giorno. Ma non ero esordiente assoluto: avevo già vinto due concorsi nazionali, uno dei quali mi aveva portato a pubblicare Personaggi precari con un piccolissimo editore (ovviamente inclusi tale volumetto nel plico contenente anche il nuovo manoscritto che inviai alle major) ed erano uscite alcune selezioni dallo stesso Personaggi precari su Nazione Indiana (che poi ne pubblicò una l’anno), GAMMM e altre riviste. Le case editrici leggono, io ne sono la prova vivente. Del resto sotto sotto qualunque direttore editoriale sogna di scovare un capolavoro, o almeno un libro decoroso, nella posta. Purtroppo, però, ormai arrivano così tanti manoscritti che il tempo che realisticamente può essere dedicato al vaglio di ciascuno è minimo, quindi, sì, i manoscritti vengono letti ma molto velocemente dato che sono migliaia – e anche così è un investimento di tempo ed energie che difficilmente viene ripagato: per esperienza personale, ed è un’esperienza che può essere confermata da qualunque altro direttore editoriale o editor, è molto più proficuo monitorare riviste, concorsi e scuole di scrittura. Anche per questo stanno aumentando in numero e in peso le agenzie letterarie: perché forniscono un primo filtro di selezione.

GLI AGENTI

È davvero imprescindibile essere rappresentati da un agente perché una casa editrice (di rilievo e non) prenda in considerazione un aspirante scrittore? E come può quest’ultimo trovare un valido agente di cui fidarsi? In termini economici, quanto viene a costare all’autore affidarsi a una agenzia?

Non è assolutamente imprescindibile, anche se è vero che il rilievo delle agenzie nella selezione editoriale è aumentato molto negli ultimi anni. Fino a non troppo tempo fa, le agenzie servivano quasi solo a negoziare i contratti con gli editori, a gestire i diritti esteri e a tenere la contabilità generale, quindi erano qualcosa di utile solo a chi aveva già un editore. È ancora così, nel senso che non siamo ancora al livello dei paesi anglosassoni, in cui la principale preoccupazione dell’aspirante è trovare un agente, e non un editore, dato che questi ultimi prendono in considerazione solo proposte di agenzie. In Italia si fa ancora molto scouting sulle riviste, e le major ovviamente lo fanno anche sulle piccole e medie case editrici, cercando di ingaggiare gli autori che si sono già fatti onore in quell’ambito, ma il ruolo delle agenzie è senz’altro destinato ad aumentare ancora.
Un’agenzia letteraria non ha alcun costo vivo: se è onesta, chiede all’autore solo una percentuale dei suoi introiti, che siano da anticipo, royalties o diritti secondari. In genere questa percentuale è del 10%. Diverso ovviamente il caso delle schede di lettura, che si pagano, o di quelle agenzie che offrono anche un servizio di editing e lavoro sul testo, anch’esso ovviamente a pagamento, ma sono attività distinte dalla rappresentanza – per cercare la quale l’autore deve fare esattamente come per l’editore: proponendo un proprio testo.

LE SCUOLE DI SCRITTURA

Sempre più numerosi sono gli scrittori di successo che nel proprio curriculum hanno un diploma presso scuole di scrittura, come la Holden. L’impressione derivante è che ormai rappresentano un monopolio per l’accesso al mondo dell’editoria e della scrittura di professione. È davvero così?

Per quanto in generale la scrittura non si insegni – e lo dico da insegnante di scrittura, adesso vengo a spiegare il paradosso – ma la si apprenda leggendo e scrivendo, è evidente che le scuole di scrittura possono essere utili su vari piani a un aspirante autore: per trovare una disciplina, cosa che spesso all’inizio manca; per incontrarsi con i pari, che saranno le persone più adatte con cui confrontarsi sui testi e magari fondare progetti letterari; per impostare percorsi di lettura più strutturati se non si ha una formazione letteraria; per conoscere, infine, direttamente addetti ai lavori che insegnano nei loro corsi – è naturale che un editor che viene a insegnare a una classe possa sperare di beccarci qualche talento (vale anche per me, come ho ammesso qui). Ma non sono assolutamente imprescindibili, se uno ha voglia di scrivere e leggere può tranquillamente formarsi da solo rispetto a tutto ciò che vi viene insegnato, quello che conta davvero è massacrarsi di lavoro sui libri – io l’ho fatto e conosco moltissimi altri colleghi che hanno fatto lo stesso. Naturalmente serve un grande impegno e una voglia incondizionata di sacrificare tutto o quasi alla lettura e alla scrittura… Ma queste caratteristiche servono anche a chi frequenta una scuola di scrittura, se vuole combinare davvero qualcosa di buono.

I BLOG ONLINE

È vero che i blog letterari non rappresentano affatto una vetrina per potenziali scrittori? O ci sono dei casi in cui gli addetti ai lavori possono scovare un autore in questo modo?

Dipende da cosa intendi per blog. Il blog personale non ha certamente più l’efficacia che aveva durante l’esplosione di questo tipo di piattaforma, quando Splinder andava fortissimo da noi e intanto emergevano con forza WordPress e Blogspot. A quei tempi, ormai più di dieci anni fa, era possibile aprire un proprio blog, farsi notare attraverso di esso, e arrivare così all’esordio editoriale. In effetti è quasi quello che accadde a me: Personaggi precari vinse sì un concorso che premiava con la pubblicazione, ma erano testi che arrivavano da un blog molto seguito e magari sarebbe uscito comunque un libro tratto da esso, come accadde ai tempi a molti blogger di successo. Oggi, per quanto ovviamente aprire un proprio blog possa essere comunque un’ottima idea per un aspirante autore, dato che può aiutare a trovare una regolarità nella scrittura, a sperimentare coi testi e confrontarsi con un primo, ancorché ristretto pubblico, difficilmente potrà aiutarlo in modo diretto ad arrivare a un editore.
Diverso il discorso per le riviste letterarie, molte delle quali, e delle maggiori – penso alle succitate Nazione indiana e GAMMM, poi Le parole e le cose, minima&moralia, Il Tascabile, Il primo amore, Alfabeta2, Doppiozero, Poetarum silva, Crapula, Carmilla, la fu 404:FNF, etc. – sono di fatto blog collettivi. In quel caso è importantissimo, direi decisivo, per un aspirante autore scrivere in questi spazi: si confronta con un primo filtro editoriale e con un pubblico qualificato, comincia a far girare il proprio nome tra gli addetti ai lavori, trova una comunità di pari con cui confrontarsi e, cosa di non scarso rilievo, effettua una prima ostensione dei propri testi proprio nei luoghi frequentati da chi fa scouting. Chiaro che anche in questo caso serve regolarità e qualità – molti testi, e buoni, per molto tempo – per sperare di essere intercettati da un editor, ma è proprio così che vengono trovati moltissimi autori.

LE RIVISTE LETTERARIE

Davvero gli addetti al settore possono notare un potenziale autore sulle riviste letterarie? Ma soprattutto, a quali riviste un giovane aspirante scrittore può chiedere collaborazione o inviare dei racconti per essere notato? E come può riuscirci, qualora non abbia già un’esperienza nel mondo editoriale e letterario?

Senz’altro, ma si sarà capito dall’excursus intorno agli autori della mia collana, molti dei quali sono stati trovati così – e gli altri editori, anche quelli meno votati allo scouting, non fanno eccezione. Praticamente qualunque autore, anche quelli presentati come apparsi dal nulla dagli editori, che hanno interesse a farlo dato che così facendo piazzano attorno all’autore un’aura più interessante, si è fatto le ossa su blog e riviste. Le riviste sono quelle che ho citato prima, a cui, se può essere utile, possiamo aggiungerne anche altre come, che so, Finzioni, Ultima pagina, La Balena Bianca, Zest, Stanza 251, Cattedrale, Critica Letteraria, Sul RomanzoSenzaudio, Via dei Serpenti, Colla, Maz, Carie, La letteratura e noi, Cadillac, Flanerì (con la sua Effe cartacea), Argo, Verde, Sugarpulp, oltre alle decane (e cartacee) Nuovi Argomenti e L’Indice, alla pure storica Nuova Prosa, alle già citate Terranullius e L’Indiscreto, e molte altre che sicuramente ho dimenticato, senza contare la pletora di riviste cartacee diffuse nelle singole città – solo a Firenze ne conto cinque o sei, Con.Tempo, Street book magazine, A few words, L’eco del nulla, la nostra The FLR… Essendo tutte no profit, il loro filtro editoriale è basato su considerazioni puramente qualitative, quindi un aspirante autore non ha che da proporsi con le proprie prose o i propri testi critici: se piaceranno al comitato editoriale verranno certamente pubblicati. E non dimentichiamo che il vero futuro autore, quello che ce la farà, le riviste è capace anche di fondarsele direttamente.

I CONCORSI PER ESORDIENTI

Può ancora un concorso letterario (come il Calvino ma non solo) aprire le porte della letteratura e dell’editoria a un aspirante scrittore? E quali sono le caratteristiche (genere, temi, ecc.) che permettono solitamente a un romanzo, ferma restando la qualità, di avere più possibilità di successo a un concorso?

Il Calvino funziona senz’altro. Lo dimostra la quantità di suoi vincitori, o finalisti, o menzionati, che escono poi con editori di rilievo. Gli altri concorsi, almeno oggi, molto meno. È vero che Mauro Tetti l’ho trovato come vincitore del Gramsci, e una volta il premio la Giara della RAI aveva un qualche peso; ma in linea generale mi pare che solo il Premio Calvino – oltre ovviamente a quei premi come il Neri Pozza che mettono in palio direttamente la consistente possibilità di esordire – abbia un effetto diretto sulla possibilità di pubblicare.

PUBBLICARE CON PICCOLE CASE EDITRICI IN ATTESA DI UN SALTO MAGGIORE

In caso di mancate risposte da case editrici medie e grandi, puntare su una gavetta con piccoli editori può essere una valida soluzione o conviene perseverare con le più note e rinomate? E come capire quando una piccola casa editrice è affidabile e offre realmente la possibilità di farsi notare?

Non credo che un aspirante autore debba pensare troppo alle case editrici medie e grandi. Deve pensare a scrivere su riviste e migliorarsi, e poi fare un buon esordio, non importa se con una piccola, una media o una grande. L’importante è che sia una casa editrice seria. Devo dirlo, che dovrà assolutamente stare lontano dall’EAP (editoria a pagamento)? È implicito ma meglio ricordarlo. E ricordiamo pure di tenere sempre a portata di mano l’indispensabile Scrittori in causa, per difendersi da tali fregature. Probabilmente anche il self publishing non gli sarà utile, essendo un circuito ancora autoreferenziale, a parte alcuni campi specifici come le fan fiction. Tutto questo non basta, perché ci sono anche molte microcase editrici sicuramente oneste, ma che non hanno la forza per editare, distribuire e promuovere davvero il libro, e anch’esse potranno far poco a parte soddisfare la vanità dell’autore mostrandogli il suo nome stampato su una copertina. Quello che serve è una casa editrice magari piccola, ma che faccia editing, che distribuisca davvero il libro e lo promuova. Ovvio, poi, che uscire subito con una grande è più desiderabile (ancorché più rischioso, dato che uscire subito con una major può portare il giovane autore a montarsi la testa e poi sbattere i denti se il libro va male e la major lo abbandona) per gli ovvi indotti di prestigio e denaro, ma se si guarda alla biografia della maggior parte degli scrittori, si vedrà che il percorso è quasi sempre lo stesso: riviste, piccolo editore, grande editore.

A cura di Giuseppe Rizzi


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* Lettera di Umberto Eco a un aspirante scrittore.

Caro Amico,
rispondo volentieri al suo messaggio perché spero così di raggiungere altre persone che si trovano nella sua situazione, per dire loro candidamente come vanno le cose a questo mondo. Vengo anzitutto alla sua ultima richiesta, se io sia disposto a leggere il suo manoscritto. La risposta è no, e le ragioni sono tutte ispirate a un profondo principio di lealtà. Io (ma questa situazione è comune a molti scrittori e studiosi di una certa notorietà) ricevo ogni settimana almeno una decina di manoscritti (spediti da persone che non hanno avuto la delicatezza di fare come lei, e chiedermi prima se potevano inviarlo), dei generi più svariati, in gran parte racconti e romanzi, ma anche opere storiche o addirittura dimostrazioni sull’esistenza di Atlantide o del continente scomparso di Mu. A questi si aggiungono bozze di libri inviati liberalmente da editori stranieri che chiedono un blurb, e cioè una di quelle frasi di raccomandazione dell’opera che si stampano poi sull’ultima di copertina o in fascetta. Dieci manoscritti alla settimana fanno 520 all’anno. Una persona come me, che fa il professore universitario, dirige una rivista scientifica e due collane specializzate, è tenuto a leggere (e correggere, e rileggere) tesi di laurea voluminosissime e manoscritti inviati per la pubblicazione, per dovere d’ufficio, oltre a seguire quanto si pubblica nel proprio campo, per tenersi dovutamente aggiornato (anche se la mole di materiale che arriva è anche quella insostenibile). Anche a volersi eroicamente occupare degli altri manoscritti in arrivo, si può dedicare al massimo (diciamo) due ore giornaliere, strappate al sonno, alla lettura di tale materiale – a parte il fatto che, dopo aver letto per obbligo centinaia di pagine, ballano gli occhi. Tenuto conto che per leggere (bene) un manoscritto che può andare da cento a quattrocento pagine, anche procedendo a tre minuti a pagina (che è lo standard della lettura veloce ad alta voce), calcolando un libro medio di 250 pagine, saremmo a dodici ore, e quindi 24 giorni per libro, i conti sono facili da fare. 24 giorni per 250 libri fa 6000 giorni, e l’anno ne ha 365. Pertanto chiunque (che non faccia il mestiere full time di lettore per una casa editrice), ricevendo un manoscritto promette di leggerlo tutto, mente. Al massimo lo annusa, ne legge le prime righe, ed emette un giudizio evidentemente poco fondato. A me non piace ingannare la gente in questo modo.

La informo di un altro particolare, su cui nessuno ha mai detto la verità. Quando l’Autore Noto di una casa editrice invia alla direzione un manoscritto che ha ricevuto, dicendo che vale la pena di prenderlo in considerazione, rarissimamente gli si dà ascolto. Vige la persuasione che l’Autore Noto abbia rifilato loro qualcuno che lo stava sottomettendo a molte pressioni e che se la sia cavata in quel modo. Così si rifiuta il manoscritto senza troppi pensieri, sapendo che l’Autore Noto non se ne cruccerà. È triste ma è così.
Passiamo ora alle case editrici. Per antica e fondata esperienza non credo alle case editrici che sollecitano manoscritti. Di solito cercano autori a pagamento, sono disposte a pubblicare qualsiasi cosa e se non rispondono è perché ne hanno già troppa. Sul funzionamento di queste case si veda cosa racconto nel mio Pendolo di Foucault a proposito del signor Garamond. È un romanzo, ma fondato su fatti reali.
Una casa editrice seria e importante, che non sollecita pubblicamente manoscritti, ne riceve comunque tantissimi – certamente cento volte più di quanti ne riceva io. Di solito (ma non esiste una regola generale) cerca di farli guardare tutti. È improbabile che li possa leggere il direttore editoriale (altrimenti non avrebbe tempo per dirigere), e spesso li si affida a lettori esterni.

Quando lavoravo in una casa editrice ne conoscevo uno, intelligentissimo e con una penna intrisa nel vetriolo, che passava la giornata sdraiato sul letto e leggeva tutti i manoscritti che riceveva. Queste letture gli venivano pagate con molta parsimonia, ma tutto sommato così campava. Li leggeva davvero, e mandava giudizi di fuoco – anche se qualche volta esprimeva rispetto e ammirazione per qualche testo. In casa editrice si faceva fatica a leggere tutti i giudizi, di una o due cartelle, che costui inviava giorno per giorno. Io adesso non ricordo bene (anche perché di solito i manoscritti in arrivo sono di carattere narrativo, e io mi occupavo solo di saggistica) ma non ho presente alcun manoscritto che sia poi diventato un libro.
Perché? Riassumendo, un bravo editore è ansioso di scoprire nuovi talenti ma non si fida dell’autore che spunta improvvisamente dal nulla. Va cercare il talento là dove si forma, così come avviene nello sport, ed è raro che qualcuno arrivi ad essere assunto come centravanti della Juventus se non è stato scoperto e apprezzato mentre giocava in una squadra di serie B, e prima di serie C, e prima ancora nella squadra della polisportiva locale o dell’oratorio salesiano. La vita letteraria, almeno dai tempi di Catullo sino a oggi, è fatta di gruppi, di persone anche giovanissime che s’incontrano e si scambiano i loro lavori, poi li pubblicano su una piccola rivista, poi su una più nota, e passano, per così dire, una prima selezione da parte dei loro pari. Ed è lì che l’editore va a cercare le personalità interessanti. È verissimo che può esistere anche il genio sconosciuto, che vive in un paesino isolato dal mondo, ma di solito ogni attività “creativa” si svolge tra gli altri, e in questo modo si affrontano i primi giudizi, si impara. Se un editore cerca qualcuno capace di fargli una buona biografia di Giulio Cesare, va a sfogliare le riviste di storia, o i programmi dei convegni sulla storia romana. Solo così sa che una persona, che sostiene di essere esperta su Giulio Cesare, è già stata valutata da chi segue queste cose, e ha così una prima garanzia. Ma lo stesso avviene anche per i giovani poeti, che incominciano ad apparire su piccole riviste di poesia, o ricevono il premio di poesia per i liceali di Roccacannuccia, e iniziano a farsi conoscere. Se non hanno saputo arrivare almeno sino a quel punto, dove stavano, con chi si misuravano?

Il genio solitario non è mai escluso, ma quando si legge di scrittori ignorati in vita e scoperti dopo la morte, esempio massimo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si vede che in vita frequentavano cenacoli letterari, erano stimati da molti scrittori magari meno bravi e più fortunati di loro, non erano affatto dei selvaggi spuntati dal nulla. Raramente un grande giornalista è arrivato al quotidiano nazionale senza prima aver mostrato le sue qualità sulla gazzetta locale, o addirittura sul bollettino parrocchiale. Chieda ai grandi giornalisti. Le diranno tanti che hanno fatto una lunga gavetta e solo così sono diventati poi notissimi – anche perché far la gavetta vuole dire migliorare lentamente giorno per giorno.

Questa persuasione, che gli editori hanno, che di solito è meglio cercare i futuri campioni in palestra, è giusta, e il più delle volte ha funzionato. Quindi, ai giovani che mi chiedono come fare pervenire un loro manoscritto al grande editore, io dico di non bruciare le tappe, e iniziare a farsi conoscere tra quelli che, come loro, scrivono, e pubblicano lentamente le loro prime prove. Potrei aggiungere che io, neppure da giovanissimo, ho mai mandato manoscritti a case editrici. Ho aspettato che un editore, leggendomi altrove, mi abbia proposto di fare qualcosa. È passato del tempo, ma ho sempre sostenuto che se sei caporale devi darti da fare per diventare sergente, senza voler diventare generale di un colpo.
Se poi qualcuno dice orgogliosamente che non vuole sottoporsi al giudizio dei suoi pari ma è disponibile solo per il grande editore, e non vuole fare gavette, perché è convinto di avere scritto un capolavoro (e magari è vero) deve anche pagare per il suo legittimo orgoglio, e spesso accontentarsi di avere scritto un capolavoro, anche se gli altri non gli danno retta. Aspetti la riscoperta dei posteri, nella storia è accaduto.

Passiamo alle lettere degli editori. Un editore che non risponde all’invio di un manoscritto (anche se qualche tempo dopo, perché abbiamo visto che, se lo fa leggere, gli ci vuole del tempo) può essere scortese. Un editore che risponde con la formula solita (“i nostri programmi sono già definiti per due anni”), è un editore per bene, e nessuno può lamentarsi se ha fatto il suo lavoro, che è anche quello di respingere almeno l’ottanta per cento delle proposte che gli arrivano. Quanto alla sua richiesta di ricevere almeno un giudizio sincero come “la sua opera è una schifezza”, ho conosciuto redattori editoriali che scrivevano all’autore perché e dove la sua opera non funzionava, invitandoli a rivedere il lavoro, ma di solito ricevevano in cambio lettere di insulti. Una volta è accaduto a me di scrivere almeno tre cartelle di analisi critica per dire a un signore (distinto professionista) perché il suo lavoro non andava bene e cosa avrebbe dovuto fare per migliorarlo, e qualche tempo dopo quel signore mi ha mandato copia di lettera inviata a un celebre brigatista rosso in carcere, dove lo invitava a dire ai suoi compagni a piede libero di punire non solo i loro diretti avversari politici, ma anche i detentori del potere mafioso editoriale (io nella fattispecie). Questo spiega perché è più comodo per l’editore declinare il manoscritto con una lettera cortese senza compromettersi troppo.
Inoltre, se non esiste una editoria di stato, come nei paesi sotto dittatura, una casa editrice è una azienda privata e ha il pieno diritto di pubblicare quello che vuole o che ritiene più redditizio (magari non sempre in termini di denaro, ma anche di prestigio). Se sbagliano, peggio per loro. Editori famosi hanno rifiutato opere, di grande valore letterario o di grande successo commerciale, come Via col vento, Il gattopardo, Il Tamburo di latta, Lolita, e via dicendo, mentre altri sono stati più accorti. Un editore francese, tra l’altro carissimo amico e lettore molto fine, mi ha rifiutato Il Nome della Rosa (per carità, non glielo avevo mandato io, semplicemente lo aveva visto in catalogo dall’editore italiano) dicendomi “la balena è troppo grossa e non può funzionare commercialmente”. Invece un suo concorrente l’ha pubblicato, e gli è andata bene. È la vita editoriale.

Ci sarebbe un modo per venire incontro all’autore solitario, evitandogli penose trafile? Forse c’è ma, dal secolo XV, quando è stata inventata la stampa, non è stato trovato. È certo che nei secoli hanno trionfato autori pessimi (ma poi i posteri hanno fatto giustizia), e sono stati lasciati cadere nel nulla autori bravissimi. In letteratura non vale il principio della selezione darwiniana, per cui sopravvivono solo i più forti (ma poi anche lì, perché hanno dovuto scomparire i dinosauri, che erano tanto buoni e simpatici?). Però, se ci voltiamo indietro, ci accorgiamo che tanti autori veramente importanti, che ai loro tempi avevano subito vari ostracismi, ci sono rimasti, e quindi si vede che in questa giungla, sia pure col sacrificio di tanti meritevoli innocenti, la vita è andata avanti in modo ragionevole. E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto. Per lui sarebbe tristissimo, per l’umanità basta Proust, e avanza.
So che con queste mie considerazioni non l’ho consolata. Ma, quando ero studente, un mio giovane maestro aveva fatto una conferenza intitolata “La filosofia non consola”, e da quel titolo (anche se non ricordo il contenuto) ho imparato molto. Ci sono due modi di consolare: uno è di dare false illusioni, ed è disonesto; l’altro è di spiegare come vanno le cose a questo mondo, così che gli altri, anche se non intendono adattarsi all’andazzo corrente, sappiano almeno come si può reagire.

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